PSICOSI DELLE 4 E 48 di Sarah Kane

Regia di IVANO CAPOCCIAMA con ROSSELLA RHAO

Note di Regia


“Lo spettacolo, attraverso un slittamento totale dell’orizzonte d’attesa dello spettatore, sposta la
vicenda di Sarah Kane in un contesto «altro» in cui il personaggio tenta di rimettere insieme i
frammenti di una condizione mentale (forse d’amore) che si staglia, davanti agli occhi dello
spettatore, come il tentativo disperato di riconquista di una identità perduta. Attraverso le parole di
Sarah Kane, la bambola meccanica, abbandonata nel proprio polveroso alveo sospeso a metà tra il
gioco e la realtà, tra il sogno e il risveglio, tenta una evoluzione autofagocitante all’interno della
quale non c’è posto per alcuna possibilità di redenzione o di riscatto. Non si assiste ad una
riconquista della posizione eretta di darwiniana memoria, ma ci si libera dell’involucro meccanico
attraverso una struttura fisica lacerante, radiografia epidermica di una mente ed eucaristia fisica di
una vivificazione. La metamorfosi da automa a donna si traduce in uno schema registico che, con
l’abilità d’un orefice d’altri tempi, incastona il martirio della protagonista in una cornice
melodrammatica ove la musica e le azioni si fondono in un «arioso» (nel senso di aria d’Opera
lirica) esperire del dolore in cui le mani, le braccia e il corpo intero tessono un percorso dello
sguardo, un lento sprofondamento nella mortalità che metamorfizza la protagonista e ne racconta la
propria sconfinata, atroce ed antica storia.”

Sinossi


Nel fatato e angusto spazio di una stanza di un vecchio palazzo, una bambola meccanica aspetta, da
secoli, che qualcuno possa rimetterne insieme i pezzi, le gambe, le braccia, la testa e i capelli, per
poter tornare a raccontare la sua storia. La bambola si desta da un sonno antico, forse è stata gettata
in quella stanza da tempo immemore. La polvere le accarezza il corpo come accade alle cose
antiche e una strana magia le ha donato la parola. Cosa accade al corpo di un pupazzo meccanico
nel momento in cui, una volta liberatosi delle polveri da soffitta del tempo e dell’incuria, si ritrova,
come in una storia di Collodi, improvvisamente dotato della parola e di un’anima tesa
inesorabilmente verso la carne? La sua psicosi non è altro che disperata vitalità che scorre tra i
cardini e le membra legnose della bambola, figura ibrida tra umano la cui metamorfosi innescherà il
suo ultimo, burattinesco e pietoso spettacolo.


Ivano Capocciama

Estratti dalla rassegna stampa


FATTI&FATTOIDI


“Perfetta la Rhao in Psicosi delle 4 e 48”

Lo ammetto, con la mia città, che eterna lo è davvero e nonostante tutto, ho sempre avuto un rapporto conflittuale, però lei, la mia Roma, non smette mai di sorprendermi. Come ieri sera che, in una viuzza quasi nascosta di San Lorenzo, mi ha fatto scoprire un piccolo e delizioso luogo dell’arte, il Teatro Abarico. L’astuta lupa sa come tenermi attaccata alle sue mammelle. «PSICOSI DELLE 4 E 48» è lo spettacolo scritto prima del suo suicidio da Sarah Kane, l’attrice è Rossella Rhao, la regia è firmata da Ivano Capocciama. Entro. In scena, al centro del pavimento/palco, trionfa, illuminata dalla luce soffusa di due candelabri da terra, una bambola meccanica con tanto di parruccone e abito settecentesco. Che meraviglia, penso. Mi piace la cura del dettaglio, e qui, nel tempo narrativo di un’ora e dieci minuti, nulla è stato lasciato alla sciatteria del caso. Anzi, conoscendo la tragedia che visse la drammaturga, c’è odore di rispetto e di verità. La bambola incomincia a fare i primi movimenti uscendo da quell’intorpidimento imposto dal essere poco

più di un oggetto. Impeccabile il controllo che la Rhao dimostra di possedere del suo corpo. Poi la voce dell’attrice evoca suoni e sospiri che sembrano salire direttamente dall’inferno. «Gli scarafaggi comprendono una verità che nessuno osa rivelare». E «alle 4 e 48, quando la disperazione mi farà visita mi impiccherò». Ma i discorsi più importanti, o più assordanti, li dettano, gridano, i farmaci. Antidepressivi, che evidentemente non sono stati all’altezza delle loro promesse chimiche. «A chi dai la colpa?», inquisitoria una voce estranea le domanda. «A meeeeee….» grida la bambola, coscienza incarnata della Kane. Tra le note liriche della musica classica, la bambola toglie il suo parruccone, lascia il posto alla calotta di memoria collodiana, e il dramma scorre, altro che favola! «Un farmaco po’ dare senso alla vita». Stato d’animo? «Incazzata». Sentimenti? «Incazzatissima» tanto da maledire un dio che l’ha fatta innamorare di un amore che non esiste. Perfetta in ogni espressione, ogni respiro, ogni movimento, la Rhao sembra essere il contenitore di un’anima che si fa demoniacalmente plurima. La sua migliore battuta? «Come faccio a fermarmi?». Kane, Rhao, Capocciama, hanno danzato puntuali e impeccabili sul palcoscenico di una vita che alla fine inevitabilmente sanguina. Il teatro si rifiuta di essere semplificato a una risata o a un pianto. No. Il teatro, come in questo spettacolo, deve far star bene.

(Veronica Meddi)

PERSINSALA

“Gli psicofarmaci non sono una cura. I deliri di una donna fendono la nebbia della mente malata. Al Teatro Abarico di San Lorenzo non è più il tempo della vita, resta solo il suicidio”

Il teatro Abarico propone lo spettacolo Psicosi delle 4 e 48, ultima opera della drammaturga britannica Sarah Kane. La scena è dominata da un’unica donna che indossa una vistosa parrucca e una lunga vestaglia; servendosi di pochi oggetti di scena come un antico bauletto e una sedia d’antiquariato l’attrice instaura un sostenuto monologo di un personaggio profondamente malato nello spirito. La psicosi porta alla pazzia, alla depressione e a uno spasmodico desiderio suicida, i continui deliri della protagonista narrano una storia fortemente rarefatta e sottilmente nascosta dietro le righe. Storia travagliata e triste di una donna con gravi disordini mentali che cerca di ritrovare l’amore perduto ma costretta dai continui deliri a numerose sedute psichiatriche congiunte all’assunzione di forti e invasivi medicinali. L’inefficacia di tutte le cure sperimentate dai dottori avrà l’unico effetto di acuire la depressione della paziente portandola a desiderare la morte. La vicenda è un ottimo specchio dei pensieri e delle condizioni mentali dell’autrice Sarah Kane suicidatasi il 20 febbraio del 1999. L’interprete Rossella Rhao espone la malattia psichica del personaggio con grande fisicità; si toglie progressivamente i vestiti fino a non averne più, l’interiorità della mente viene quindi rappresentata da un corpo nudo, da carne che non ha più niente da nascondere e che cerca di spogliarsi di tutto ciò che non è, analizzando e rivelando i pensieri più reconditi del proprio io. Il suo corpo si muove spesso con gesti casuali, scattosi e meccanici come una marionetta che, senza burattinaio, non riesce a trovare coordinazione; ma la confusione dei gesti non è altro che il riflesso di un’anima travagliata, offuscata dalla nebbia della psicosi e deviata dal cammino della vita. Se la pazzia della donna viene meticolosamente descritta, anche alle sue cure viene data una certosina rappresentazione: l’attrice si ritrova a urlare tutti i nomi delle medicine usate, ma mai efficaci, come uno strillone, una figura caratteristica dei primi anni della storia dei giornali che urlava i titoli degli articoli più scottanti. Il tutto, accompagnato da musica classica in netto contrasto con le movenze da cantante meta, un mix poco armonico che, da una parte, risulta quasi comico spezzando la drammaticità caratteristica dello spettacolo, ma, dall’altra, attira efficacemente l’attenzione dello spettatore al tentativo di chiarire che nessuna medicina e nessuno psichiatra potrà guarire i disagi interiori di una persona se non sopraggiunge l’accettazione della personale condizione. Una mente malata e depressa riesce a superare i propri demoni interiori partendo dalla lucida volontà di voler tornare a vivere e le medicine sono, dunque, solo un’illusione fugace che dura fino a quando non vengono metabolizzate dal corpo. Rispetto al chiarire cosa sia psicosi e quali siano le sue conseguenze, lo spettacolo va oltre questi concetti che, seppur intriganti, lo avrebbero reso troppo didascalico. Della psicosi non appare mai una spiegazione definitiva ma si profila una delle tante facce che essa può mostrare, esaltando quanto la mente umana può essere meravigliosamente e terribilmente complessa.

(Riccardo Calandra Scialacomo)

CLOS UP

Opera postuma della drammaturga capofila della così detta «new angry generation» britannica, il cui titolo allude all’ora notturna che secondo le statistiche è il momento di maggiore attrazione verso il suicidio. La Kane affrontò in quest’opera il concetto di distacco dell’uomo dal mondo, una fuga disperata e irrefrenabile verso il nulla ovvero l’assenza di vita, stato dell’essere che condusse la drammaturga al suicidio a soli ventotto anni, evento di cui Psicosi delle 4 e 48 rappresenta il doloroso presagio. Una vicenda frammentata, una drammaturgia “fatta a pezzi” che alla sola lettura già appare ostile alla rappresentazione scenica e che spesse volte è apparsa sui palcoscenici in versioni assai poco brillanti, piatte, incapaci di restituire la forza e il fascino che l’opera custodisce. La messinscena alla quale abbiamo assistito è invece un piccolo capolavoro di regia e di interpretazione. Le parole scritte e lasciateci come un dono dalla Kane (ricordiamo che nel testo originale non sono presenti indicazioni drammaturgiche) hanno preso degna forma e articolazione, così da incantare lo spettatore costringendolo a seguirne il filo invisibile senza mai distogliere occhi

e orecchie dalla scena. Capocciama sceglie come protagonista una bambola meccanica, proveniente da uno spazio e da un tempo lontani e misteriosi, la quale per incanto prende vita nel pronunciare il lungo e faticoso monologo di Psicosi delle 4 e 48. La parola è l’elemento che anima la bambola (come si trattasse di un giocattolo con carica a molla) la quale necessita di scandire sillaba dopo sillaba la sua assurda vicenda: «non spegnete la mia mente cercando di metterla a posto», implora l’automa, regalando alla platea uno splendido momento di riflessione che racchiude una delle chiavi di lettura dello spettacolo; la società contemporanea è obbligata a rispettare degli stereotipi comportamentali che omologano il nostro modo di essere e soprattutto di apparire. La follia e in questo caso la psicosi, non sarebbero da intendersi in qualità di disturbi della mente, bensì in quanto caratteristiche dell’io, stravaganze o meglio particolarità che andrebbero comprese, accettate e addirittura coltivate anziché curate con lo scopo di neutralizzarne l’esistenza. Rossella Rhao impersona il suo personaggio con grande rispetto e in ogni suo gesto, nelle singole parole, si percepisce amore per l’arte attorale e consapevolezza del mestiere. Una bella prova d’attore la sua, che per l’intera durata dello spettacolo mantiene alta la qualità della recitazione e ben saldo il timbro vocale. Nonostante le innumerevoli trasformazioni che il personaggio subisce, l’interprete è in grado di non confondere lo spettatore accompagnandolo con sé nel cammino che conduce all’epilogo della rappresentazione teatrale. Sapiente è la scelta delle musiche e in particolare dell’Opera lirica, escamotage che aiuta a porre gli accenti e delineare momenti salienti e intermezzi dello spettacolo; decisione azzeccata e originale, valore aggiunto allo spettacolo. Psicosi delle 4 e 48 di Ivano Capocciama rappresenta un esempio di teatro sano e godibile, come se ne vede raramente.

(Valeria Gaveglia)